Teatro

Scandali a teatro, il pubblico insorge per la Tosca!

Scandali a teatro, il pubblico insorge per la Tosca!

A Macerata un allestimento choc della «Tosca» stravolge Puccini: in scena una Madonna e angeli sadici. Gli spettatori protestano. Se ne vedono tante nella lirica. In questi giorni, sarà il caldo, le stravaganze si moltiplicano: a Salisburgo il (solito) nudo con cui s’apre il festival, ma le orge pur previste da Schreker in Die Gezeichneten si trasformano in un baccanale sadomaso con accenni pedofili. Ancora in terra austriaca, il Flauto magico ha appena dato applausi a Muti e fischi al regista Vick che ambienta la fiaba mozartiana in un mondo geriatrico di malati e anziani. Nudi e proteste anche al Festival multimediale di Avignone, contestata la programmazione di Jean Fabre. Ma nel luna-park degli spettacoli trasgressivi nessuno forse aveva osato tanto. «Vergogna!», ha gridato il pubblico l’altra sera allo Sferisterio di Macerata alla fine della Tosca secondo Antonio Latella, un istante dopo che la protagonista ha spiccato un simbolico volo (qui non ci si getta nel vuoto dal castello) con l’aiuto della Madonna. Maria è in scena, ha le doglie, partorisce angeli in scena e poi se ne va a zonzo tutta nuda; c’è quel bruto di Scarpia che quando muore ha una smorfia sardonica e gli depongono la croce addosso: è l’Anticristo; c’è Mario Cavaradossi che viene torturato con la corona di spine del Cristo crocifisso. Si potrebbe andare avanti fino a domani, i rintocchi moltiplicati delle campane e l’organo della chiesa amplificato, per non parlare del secondo atto che comincia con citazioni di Maria Vergine e degli angeli dalla messa in latino, e gloria in excelsis deo nel libretto proprio non c’è. Dei tre luoghi romani, Sant’Andrea della Valle, Palazzo Farnese e Castel Sant’Angelo, nessuna traccia, così come della Roma papalina. Incombe invece lo specchio con un grande occhio che riflette la Maddalena fatta di migliaia di calici e dipinta da Cavaradossi. Il quale viene fucilato da una selva di calici, gli amari calici al posto delle carabine. «Io - dice il regista Antonio Latella - sono uno shakespeariano, basta dire foresta e sembra di immaginare fronde e rami». È lui il grande accusato, Latella, volto nuovo del teatro di prosa, aveva fatto centro la sua trilogia pasoliniana, veniva da due esperienze d’opera, entrambe di musica antica. Arriva al suo primo capolavoro del melodramma dell’800 e lo rovescia come un guanto. Di Puccini resta solo il telaio della partitura. Dice d’aver puntato «sul rapporto tra sacro e profano, sul simbolismo, sull’erotismo che c’è nella sacralità, e che trovi nell’arte». Di una certa suggestione i rimandi pittorici: il Guercino, Goya. E anche una Pietà michelangiolesca rovesciata, dove la Madonna e non Cristo giace tra le braccia altrui, in questo caso quelle di Cavaradossi. Latella vive a Berlino e il suo gusto riflette l’estremità di certi allestimenti nordeuropei, mentre in Italia abbiamo altri problemi, ingabbiati come siamo tra l’evento e la tradizione. Ma ci sono ancora i maestri della regia. Le punte di due diverse scuole di pensiero dell’«Italian Style» sono la «bottega rinascimentale» di Franco Zeffirelli e le invenzioni senza scandali di Luca Ronconi il quale sostiene che «la lirica dovrebbe ringraziare i registi che hanno prolungato l’agonia dei teatri d’opera». All’estero si rifiuta l’approccio ideologico, superato l’ambiguo concetto di vecchio e nuovo. Lo spartiacque dovrebbe restare uno solo, e cioè se l’emozione scatta oppure no. Tutti si dichiarano contro cartapeste, gessi e oleografia. «Un allestimento classico - dice Renato Palumbo, apprezzato direttore della generazione dei 40enni - si fa molto meglio oggi. Cercare forme alternative è giusto, ma ci dev’essere accordo nel cast e va rispettata l’intenzione musicale. A Colonia ho diretto un’ Aida in salsa Star Trek ma drammaturgicamente non c’era una virgola spostata. Certo non si può tornare a cantare tutti impalati come una volta, il cinema ha imposto all’opera una gestualità moderna, la lirica era la tv di 200 anni fa. I registi non devono profittarne per mettere in crisi i teatri». Il regista spagnolo Lluis Pasqual, celebre per l’audacia elegante, si muove tra arti diverse: «L’opera per me è come un mobile d’antiquariato: non gli si addice design spinto di Philippe Starck, ma va restaurata. E i mobili d’antiquariato possono essere modernissimi. Alla fine credo che un cieco possa andare a uno spettacolo, la sostanza la tiene; un sordo, no».